Club italo-americano di Corato
- Le 15/12/2025 à 16:09
- Dans Temoignages sur la migration des Coratins
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L’assemblea dei soci
Un trafiletto della rivista “La Disfida” di Niccolò Molinini riporta l’assemblea tenutasi il 28 dicembre 1947, durante la quale venne eletto il consiglio direttivo del Club Italo Americano di Corato.
Ecco i componenti: Pasquale Campione – presidente, Francesco Leo – vice presidente, Francesco Gatta – segretario; Luigi Strippoli – cassiere, Giuseppe D’Introno, Luigi Menduni, Cataldo Colucci, Giuseppe Bove, Antonio Adduci, Giuseppe Diaferia, Felice Patruno, Michele Calvi, Antonio Caterino, Domenico Mazzilli, Giuseppe Mazzilli, Felice Doria e Riccardo Bovino - consiglieri. Sono stati elevati alla carica direttiva ad onorem del Club Pugliese d’America i signori: Luigi Bevilacqua – presidente, Mauro De Candia – vice presidente, Michele Peragine – segretario.
La vasta eco suscitata nel mondo dal disastro idrogeologico che sconvolse Corato nel 1922 innescò una gara di solidarietà commovente che coinvolse anche gli italiani d’America i quali fecero pervenire attraverso Carlo Barsotti, direttore del giornale “Il Progresso Italo-Americano”, la somma di lire 20.000 in aiuto dei loro connazionali.
C’era una volta … l’America
Marina Labartino
La storia dell’emigrazione coratina è strettamente legata alle condizioni demografiche e socio economiche della città. All’inizio del XIX secolo Corato era rinomata per i suoi estesi vigneti, pascoli collinari e capienti granai, dove veniva depositato il frumento dei paesi limitrofi. Con l’intensificarsi delle attività agricole e pastorali fu dato anche un notevole impulso al commercio ed alle attività artigianali legate a tali settori. Il benessere cominciò a diffondersi ed aumentò anche il numero degli abitanti. Nei soli primi 20 anni del XX secolo (1901-1921) la città passò da 41.739 abitanti a 50.010 per poi scendere bruscamente, nel 1931, a 45.026. Cosa accadde in tale arco di tempo? Cosa provocò la diminuzione di quasi 5.000 residenti?
Il disastro idrogeologico del 1922, con la conseguente perdita di abitazioni e botteghe, determinò la paralisi di molte attività e mise in ginocchio l’economia cittadina. I coratini furono costretti a cercare lavoro altrove, dando così origine ad un movimento migratorio che ebbe come principali destinazioni: l’Europa (Germania e Francia, con Grenoble in testa) e le due Americhe (stato di New York per quella settentrionale e Venezuela per quella meridionale).
Una vera e propria avventura verso l’ignoto che molti avevano affrontato sin dai primi del ‘900.
Il pregevole progetto ‘Fare storia con i documenti’, messo in atto dai proff. Pasquale Tandoi e Maria Lobascio nell’anno scolastico 2010-2011 con gli alunni della scuola secondaria di I grado “L. Santarella”, confluito nella ricerca intitolata ‘Quando i clandestini eravamo noi’, riporta quanto segue: “Il primo coratino di cui si ha notizia certa – e che può essere considerato il pioniere di Corato negli USA – fu un tale Giuseppe Ruggiero che, partito da Napoli con la nave Tartar Prince, sbarcò a New York il 5 luglio 1902 … Dal 1905 fu un crescendo di coratini che raggiungevano i parenti già stanziali, quasi tutti come “farm labourer” – braccianti agricoli … Nel 1919 erano già approdati negli USA circa 1.400 coratini, per lo più compresi nella fascia di età tra i 20 e i 30 anni. I 1.250 coratini che negli anni ’20 emigrarono in USA si stabilirono: a New York (1.011), Chicago (17), Rochester (23), Yonkers (12), Camdem-New Jersey (13), Trenton (15) e poi Detroit, Pittsburgh, Philadelphia, San Francisco, ecc.”
Alcuni non fecero più ritorno e si stanziarono definitivamente oltreoceano mettendo su famiglia; altri, presi dalla nostalgia, dopo aver messo da parte un consistente gruzzoletto, tornarono nella terra d’origine, ma continuarono a serbare «stretti contatti tra loro, tenendo accesa la fiammella dell’americanismo di cui andavano orgogliosi» come raccontato dal prof. Michele Lotito, nostra memoria storica di quegli anni in cui i “forestieri” di ritorno fondarono in piazza Cesare Battisti la sede del Club Italo-Americano.
Complice una foto bellissima risalente al 1955, recuperata dal collezionista Cristoforo Scarnera, riproponiamo, a distanza di circa 20 anni, il ricordo, spumeggiante e pittoresco, dell’amico Michele, pubblicato su LO STRADONE di Gennaio 1994, purtroppo allora privo di immagine.
Il confronto con l’istantanea odierna lascia spazio a poche riflessioni. Il palazzo, fortunatamente, è rimasto identico e forse avrebbe soltanto bisogno di un intervento alle facciate che evidenzi la grazia delle architravi coronate sovrastanti i balconi affacciati su corso Mazzini. Al pianoterra, nei locali del Club oggi troviamo la sede di una agenzia viaggi. Subito a fianco la pianta toponomastica in rame della città e lo spazio dedicato esclusivamente all’affissione dei manifesti funebri, che sostituiscono l’antica cartellonistica ibrida tra questi e pubblicità commerciale e informativa. Il lampione aereo è stato sostituito da quello a due bracci, posizionato nei pressi dell’angolo con corso Mazzini e affiancato al palo della segnaletica stradale. Sulla destra, la piccola palma piantumata negli anni ’50 è stata più volte sostituita perché soggetta a patologie varie. Immutato il “caffè”, privo però dell’insegna luminosa a bandiera. Molte, come ovvio, le auto in sosta e che percorrono il luogo. Il trascorrere del tempo si nota anche nel diverso abbigliamento dei passanti. Tutto sommato la zona non ha subito manomissioni di sorta.
Una finestra sull'America e su Corato
Dai ricordi di Michele Lotito
Fino a qualche anno fa, in piazza C. Battisti c’era la sede del Club Italo-Americano: una grande insegna sbiadita dal tempo su una porticina che immetteva in uno stanzone non sufficiente ad ospitare i moltissimi soci. Alla parete un enorme quadro con l’effigie di Giorgio Washington annerita dal fumo delle sigarette; ai due lati le bandiere d'Italia e degli U.S.A.; su di un'altra parete una grande foto incorniciata del Presidente americano in carica.
Gli iscritti al Club, appena il tempo lo permetteva, stazionavano fuori seduti su vecchie sedie di legno pieghevoli; era il loro un punto d'osservazione invidiabile: di fronte il Municipio; vicino le fermate dei pullman; e poi la comodità di ascoltare i comizi nel corso delle accese campagne elettorali del secondo dopoguerra; le orchestre, meglio le bande, che giudicavano con la competenza di gente adusa all'ascolto della buona musica del glorioso concerto bandistico “Città di Corato”; Negli ultimi anni non disdegnavano i cantanti di musica leggera. Per la festa del Santo Patrono, era tradizione il lancio di un grande pallone aerostatico al cui allestimento contribuivano dall'America altri coratini.
Nei giorni freddi e piovosi, l'interno della sede si trasformava in una enorme ciminiera e tra le volute di fumo si distinguevano a fatica i tavolini e le sagome nere intente a giocare a scopone, ramino, tressette o briscola. La posta in gioco: una coloratissima gassosa o un biglietto di cinema per i più “viziosi”! Mi sembra di vederli questi amabili e arzilli vecchietti con i completi scuri, i cappelli a larghe tese, i panciotti impreziositi da catenelle d'oro o d’argento che reggevano un cipollone che estraevano con gesto solenne e compiaciuto a controllare di tanto in tanto l’ora e il ticchettio.
ITALO-AMERICANO AD HONOREM
Di questo gruppo di coratini-americani, faceva parte il mio nonno materno, in verità un socio sui generis; in America lui non c'era mai stato. Era arrivato fino al porto di Napoli con tutte le carte in regola per imbarcarsi, ma era stato convinto all'ultimo momento dal padre a rinunciare al gran salto.
L’America gli era rimasta nel cuore e come tutte le cose sognate a lungo e mai realizzate, il mito della grande e generosa America s'ingigantirà alimentato da parenti e amici che partivano o tornavano. E ancora negli ultimi anni di vita fantasticherà con candore sulle possibilità che l'America gli avrebbe offerto se...
Volle dunque iscriversi al Club per dare una parvenza di realtà al suo sogno americano e, l’essere stato sul punto di fare il gran viaggio, gli sembrava un titolo sufficiente ad essere accettato da Italo-americano DOC! E dopo anni di frequentazione dell’associazione e, dopo aver fatto propri i racconti di chi c’era stato, si sentiva un vero coratino d’America.
Il nonno, ero il suo primo nipote maschio, mi portava al Club da bambino vincendo le mie resistenze con la promessa di un gelato o di una sgargiante gassosa e più tardi, del biglietto per il cinema. Seduto in mezzo a quei simpatici individui, ascoltavo le meraviglie d'oltreoceano, vedevo i grattacieli, e automobili enormi, seguivo con difficoltà le vicende torbide del periodo del proibizionismo, di Al Capone e i gangster.
Anni dopo, leggendo “Cristo si è fermato ad Eboli”, ritroverò negli italo-americani di Galliano descritti da Carlo Levi, i soci del Club di Corato. Li ricordo tutti, malgrado l'età avanzata, impegnati attivamente nel lavoro, vivaci, pieni di iniziative. La maggioranza era costituita da proprietari di terreni acquistati con il denaro guadagnato degli U.S.A. e alternavano con disinvoltura scambi di opinioni sulla vigna e sull'olivo, sui cavalli e i muli dei loro carretti, con dei flash sulla vita americana a Chicago, Boston, Filadelfia e soprattutto New York e “Broccolino”.
D’estate, smesse le tenute di campagna, ridotte per il caldo ai soli mutandoni e canottiera, indossavano pantaloni chiari con bretelle o completi leggeri con paglietta in testa. Qualche “viveur” non disdegnava vistose scarpe bicolori ai piedi. Mio nonno si dava un tocco d’eleganza con un paio d'occhialoni di celluloide comperati al mercato. Mi è rimasto impresso nella memoria tra i soci un signore distinto, basso di statura, mi pare si chiamasse Colucci, che somigliava in modo impressionante a George Washington e guardavo con rispettoso timore quest'uomo e chiedevo con insistenza se fosse lui l'uomo del quadro o un suo antenato. Le risposte evasive ancor più alimentavano l’idea che, quel vecchio dalla voce stentorea e dallo sguardo severo, fosse davvero il primo presidente degli Stati Uniti. Sono rimasto con quel dubbio...
Club Italo Americano Corato emigrazione italiana USA Marina Labartino
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